Figli di una giurisprudenza minore
( per non precludere i diritti di libertà e autonomia della persona disabile )
Kefar Nahum, 15 gennaio 2010
Nel nostro paese il modello di welfare tende sempre più a ridurre al minimo l’ intervento dello Stato delegando la risposta ai problemi dei deboli ad espressioni spontanee di beneficenza.
Questo modello ha prodotto un “volontariato consolatorio”: volontari, ma per contare qualcosa.
Il volontariato, nato per aiutare i più deboli, i più emarginati, rischia di diventare funzionale proprio a quel sistema che, mentre da un lato continua a produrre nuovi deboli, nuovi emarginati, dall’ altro sostiene ed agevola chi si impegna per alleviare le loro sofferenze.
Nessuno vuole negare che un gesto d’ amore verso una persona in stato di bisogno sia in sè un atto degno di lode. Tuttavia se si vuole che questi movimenti d’ amore e donazione gratuita inneschino un processo di cambiamento strutturale sulle condizioni di vita di chi oggi subisce il disagio, occorre che l’ azione di volontariato tenga conto di alcuni aspetti fondamentali:
impegno in azioni volte alla rimozione delle cause dell’ emarginazione, attenzione all’ orientamento dei servizi, rifiuto della delega e individuazione di nuovi modelli di vita.
Attualmente, non si può non tener conto che la stragrande maggioranza del volontariato è orientato verso un’azione di sostegno compassionevole delle persone e delle famiglie in difficoltà, senza intervenire analiticamente sulle cause del bisogno.
Finora, anche la stragrande maggioranza delle forze politiche, i sindacati, nonché tutte le forze sociali, non sono adeguatamente intervenute a difesa delle esigenze e dei diritti di coloro che, privi delle necessarie capacità di azione, non hanno alcuna possibilità di tutelare i propri interessi vitali: disporre di strutture per la riabilitazione, essere curati se malati, avere risorse economiche sufficienti per l’assistenza.
Si tratta di persone con disabilità motorie e/o mentali che non sono in grado di autodifendersi.
Ad evitare fraintendimenti, è noto che ben diversa è la posizione dei partiti e dei sindacati quando si tratta dell’ affermazione e della salvaguardia dei diritti, ovviamente sacrosanti, per esempio dei disoccupati o dei cassaintegrati, di persone cioè che hanno la capacità di esprimere i loro bisogni e di agire anche attraverso forme di protesta e di proposta.
Sia ben chiaro che ritengo molto importanti le azioni delle forze politiche, sindacali e sociali che hanno lottato e lottano per liberare dal bisogno i gruppi sociali subalterni, ma non posso fare a meno di rilevare che molto raramente e solo sporadicamente le stesse organizzazioni hanno assunto iniziative concrete nei confronti delle persone che oggi, ma presumibilmente anche in futuro, non sono e non saranno in grado di impegnarsi, a causa delle loro condizioni psico-fisiche, in iniziative efficaci volte all’ affermazione dei loro bisogni vitali e dei loro diritti.
Oltre a questo, è assai preoccupante che sia estremamente carente, e spesso assente nel bagaglio culturale di molte organizzazioni politiche e sociali, l’analisi delle condizioni di vita delle persone “ultime” della società e quindi carenti risultano le proposte rivolte alla rimozione delle cause dell’ emarginazione.
La prova inconfutabile di questa triste realtà è stata l’approvazione di qualche anno fa della Legge 328/2000 di riforma dell’ assistenza e dei servizi sociali, avvenuta all’ unanimità sia alla Camera che al Senato, in cui sono stati cancellati diritti di cui godevano i più deboli.
La presenza delle attuali profonde carenze culturali è dimostrata dai giudizi positivi emersi in merito a questa Legge da parte di esperti del settore sociale.
Numerosi sono stati addirittura coloro che hanno sostenuto che in questa Legge vi sono diritti esigibili, in effetti del tutto inesistenti.
Un altro primato della Legge 328/2000, assai grave, riguarda la sottrazione dall’esclusiva destinazione alle persone “Ultime” dei patrimoni delle IPAB, ( Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza ). Invece di stanziare ulteriori risorse, data la carenza di strutture e servizi, ne sono state tolte in maniera rilevante senza sollevare opposizioni e riserve da parte di coloro che affermano, ogni qualvolta che si trovano sotto i riflettori, di essere dalla parte dei più deboli.
Infine, un altro aspetto inquietante da rilevare è l’accettazione passiva dello scarico sulle famiglie di competenze sanitarie e socio assistenziali, per cui la cura e/o l’ assistenza di persone non autosufficienti determina molto spesso condizioni di povertà e, in molti casi, di miseria.
A mio avviso, le forze politiche, sindacali e le organizzazioni di volontariato che intendono operare concretamente a favore delle persone disabili dovrebbero riconoscere che il miglioramento delle loro condizioni di vita si possono conseguire solamente riconoscendo a questi cittadini “Diritti Esigibili” e mettendo in atto tutte le iniziative occorrenti affinché questi diritti siano attuati.
Un Diritto subordinato alle risorse è un non Diritto!
Il Diritto soggettivo si differenzia dal semplice interesse o dalla semplice aspettativa per il fatto di essere esigibile, cioè per l’ esistenza nell’ordinamento di mezzi che ne garantiscono l’attuazione.
In conclusione, o c’è un Diritto esigibile a specifiche prestazioni oppure si cade nella mera beneficenza.
Con Affetto
Salvatore Cimmino